BAH!
25/01/10 12:45
Era già tutto previsto.
Senza voler fare inutili moralismi, in una società dove si vota per Galliani, si dimenticano i torti di Moggi, si accettano prebende da Carraro, non c'era più posto per Franco Baldini e la sua voglia di un calcio migliore.
Per questo dico che forse la cosa più triste, in questo momento, non è l'addio, purtroppo annunciato, di un grande dirigente che rimpiangeremo sicuramente, ma il comunicato, fatemelo dire, ingrato, con cui la società ha «preso atto» delle dimissioni di un suo «consulente di mercato».Un tentativo goffo e maldestro di provare a ridimensionare il vero ruolo
avuto in questi anni da Baldini. Che è stato sì assunto da Franco Sensi come «consulente sportivo», ma con
un accordo che lo trasformava in «direttore sportivo» non solo di fatto nel momento in cui avesse sostenuto il relativo esame di abilitazione. Una pratica regolarmente sbrigata nel febbraio scorso.
Ma i cavilli non contano in giorni come questi. Franco Baldini per la Roma è stato molto di più anche di un direttore sportivo: è stato al fianco del presidente nella sua formidabile e ormai antica battaglia contro i padroni del pallone; è stato l'orgoglio di sapere che noi avevamo uno come lui e non uno come Moggi a rappresentarci in quel mondo; e infine, come Zeman, è
stato la speranza di un calcio migliore e che qualche cambiamento potesse partire proprio da qui, dalla Roma.
Altro che «consulente di mercato» come qualche gazzetta di Trigoria aveva iniziato a scrivere sotto dettatura da qualche mese.
Del resto l'opera di delegittimazione che ha portato alle dimissioni di ieri pomeriggio, parte da lontano. Alcuni la fanno iniziare dalla misteriosa vicenda dei russi, che un anno fa sbarcarono in città pronti a comprarsi una società, la Roma appunto, sull'orlo del fallimento, e dopo qualche settimana scapparono senza una spiegazione ufficiale. Sarebbe bello un giorno fare chiarezza su quello che accadde: si sa però che Baldini quell'operazione l'aveva molto caldeggiata e qualcuno glielo rimproverò.
Altri fanno risalire la prima crepa al famoso, o famigerato, pranzo in Campidoglio apparecchiato in estate dal sindaco per Rosella Sensi e il suo pari grado juventino Antonio Giraudo all'insaputa di Baldini. A rivederlo oggi, quell'incontro semiclandestino, sembra la prova generale per la svolta che poi la società farà in autunno.
Ma senza voler andare tanto lontano c'è una data certa a cui far risalire le prime vere difficoltà di Baldini con la Roma: il 31 agosto. A villa Pacelli è riunito come ogni mese il consiglio di amministrazione che deve approvare la situazione del bilancio della società come richiesto dalla Consob. Quel giorno è anche l'ultimo giorno di mercato e Baldini, sfumati per mancanza di soldi gli acquisti di Gilardino e Ibrahimovic, caldeggia l'arrivo dell'egiziano Mido, giovane di belle speranze. Costa sei milioni di euro: non tutti sono d'accordo, anzi, ma alla fine la linea Baldini passa e Mido arriva. Visti i risultati (e l'insperata resurrezione di Montella) per Baldini è un autogol, anche perché da Torino i nuovi amici bianconeri sussurrano che l'egiziano si poteva prendere anche in prestito gratuito, risparmiando i sei milioni.
Questo era il clima già all'inizio di quello che si rivelerà come l'ultimo campionato di Baldini alla Roma. Ma il direttore sportivo incassa e tira dritto anche perché la Roma va a pezzi: va via Prandelli e lui corre a far firmare Voeller; dopo un mese anche il tedesco fa le valigie, Baldini ha per la prima volta la tentazione di imitarlo ma invece sale su un aereo e incontra Delneri convincendolo a venire a Roma. Intanto la sua ultima campagna acquisti finisce nel mirino di critica e tifosi (solo oggi sappiamo che Mexes non era una bufala...).
Ma è sul fronte politico, sulla visione del calcio e sul ruolo della Roma, che si apre la crepa decisiva.
Il fatto è questo. E' una mattina di ottobre: all'Hilton di Fiumicino sono riuniti gli stati generali del calcio. A sorpresa spunta anche Franco Sensi, al suo fianco, come sempre, Franco Baldini. Di quel giorno passeranno alla storia due scene: nella prima Baldini cerca letteralmente di tirar via lo stanco presidente dall'abbraccio tentacolare di Luciano Moggi che ha appena finito di giurare che lui non ce l'ha mai avuta con la Roma; nella seconda Sensi annuncia che la guerra è finita anticipando a un nostro cronista che «la Roma voterà Galliani», quello che lui, solo qualche mese prima aveva pubblicamente mandato affanculo.
Per Baldini quella svolta non è una vera sorpresa: la temeva da qualche mese, da quando Mediaset, si dice per intercessione dello stesso Galliani, ha firmato un importante contratto per i diritti tv della Roma (così importante che solo grazie a quello la società ha potuto chiudere l'ultima relazione semestrale con un attivo di 14 milioni e rotti di euro).
Ma fino all'ultimo, fino a ieri sera, il diesse ha sperato di poter convincere il presidente e la figlia che questa strategia condanna la Roma ad essere per sempre vassalla della grandi. E' questo il punto vero su cui si è consumato il divorzio: per la famiglia Sensi oggi la Roma sta nel posto che le compete, fra i grandi club con Juve Milan Inter e Lazio; per Baldini invece, fino a quando le risorse saranno distribuite in maniera ingiusta, gli arbitri saranno condizionati dal potere e i giornalisti subiranno la sudditanza psicologica dei soliti noti, la Roma non vincerà mai più. Per questo Baldini si danna e passa l'autunno e l'inverno a tentare di convincere la Roma a riprendere in mano la spada del cambiamento. Per questo a fine ottobre fa una prima mossa forte: si dimette. Ma quel giorno il presidente in persona lo chiama e gli chiede di restare: alla fine ne esce un comunicato che assolve il calciomercato estivo e ridà piena fiducia al ds.
Ma quel clima dura poco: il tempo di vedere per l'ultima volta assieme in conferenza stampa Baldini con Rosella Sensi il giorno dell'annuncio del mega contratto con Sky e del rinnovo per Daniele De Rossi. «Grazie Franco» dice lei, «no, grazie all'amministratore delegato» fa lui. Ma la crisi è di nuovo dietro l'angolo e per Baldini la strada è tutta in salita. Delneri spera di sostituirlo con il suo amico del Chievo Sartori, alcuni big della squadra gli voltano le spalle, e Rosella giorno dopo
giorno gli preferisce Daniele Pradè, un dirigente diligente, obbediente e sempre più presente: nella riunioni di Lega come nelle occasioni con i tifosi e nei vertici strategici a villa Pacelli.
Baldini si rifà vivo il 5 gennaio, con una clamorosa intervista contro i padroni del calcio che gli costerà un deferimento, una multa di 2500 euro e l'eterna gratitudine di tanti romanisti per la boccata di ossigeno di quelle parole. Ma più i tifosi lo amano, più cala il gradimento per Rosella Sensi, ingiustamente considerata l'unica artefice della svolta.
Fatto sta che Baldini alla prima occasione, la presentazione di Abel Xavier, prende la parola e dice ai tifosi «non applaudite me ma osannate la famiglia Sensi, solo a loro dobbiamo questa grande Roma».
L'ultimo, inutile, tentativo di recuperare un rapporto logoro.
Baldini viene accantonato e pubblicamente scaricato: in occasione di Roma Juve, viste le timide reazioni dell'amministratore delegato e dell'allenatore al furto dell'Olimpico, avrebbe occasione di farsi sentire. Ma rinuncia per non far danni alla Roma.
La domenica seguente la Roma perde anche a Cagliari. Sull'aereo del ritorno, mentre Delneri sta dando le dimissioni, Rosella gli ordina di partire la mattina seguente per Zurigo per seguire una causa. Baldini ribatte che c'è un allenatore da scegliere. Inutile.
L'intervista tv alla Dandini di domenica sera sembra il suo addio al calcio: in realtà è l'ultimo tentativo di cambiare le cose a tre giorni dal voto per Galliani in Lega. E quando mercoledì mattina il "compromesso storico" sembra saltato per un attimo si illude «di essere servito a qualcosa».
Ma in cuor suo sa che è solo una questione di soldi e di poltrone.Alle 17, quando i presidenti di A e B votano Galliani e Zamparini, lui è già a Trigoria che mette le sue cose in un paio di scatoloni.
Ieri chiede di incontrare il presidente e la figlia: dopo un'ora abbondante di anticamera lo riceve solo Rosella.
Chi la conosce dice che tradisse un evidente fastidio. Baldini prova a parlare, vorrebbe vedere anche il presidente, capisce che è tutto inutile.
Consegna la lettera di dimissioni. Lei dice «ne prendo atto», lo ripete tre volte.
In fondo era solo un «consulente di mercato».
Senza voler fare inutili moralismi, in una società dove si vota per Galliani, si dimenticano i torti di Moggi, si accettano prebende da Carraro, non c'era più posto per Franco Baldini e la sua voglia di un calcio migliore.
Per questo dico che forse la cosa più triste, in questo momento, non è l'addio, purtroppo annunciato, di un grande dirigente che rimpiangeremo sicuramente, ma il comunicato, fatemelo dire, ingrato, con cui la società ha «preso atto» delle dimissioni di un suo «consulente di mercato».Un tentativo goffo e maldestro di provare a ridimensionare il vero ruolo
avuto in questi anni da Baldini. Che è stato sì assunto da Franco Sensi come «consulente sportivo», ma con
un accordo che lo trasformava in «direttore sportivo» non solo di fatto nel momento in cui avesse sostenuto il relativo esame di abilitazione. Una pratica regolarmente sbrigata nel febbraio scorso.
Ma i cavilli non contano in giorni come questi. Franco Baldini per la Roma è stato molto di più anche di un direttore sportivo: è stato al fianco del presidente nella sua formidabile e ormai antica battaglia contro i padroni del pallone; è stato l'orgoglio di sapere che noi avevamo uno come lui e non uno come Moggi a rappresentarci in quel mondo; e infine, come Zeman, è
stato la speranza di un calcio migliore e che qualche cambiamento potesse partire proprio da qui, dalla Roma.
Altro che «consulente di mercato» come qualche gazzetta di Trigoria aveva iniziato a scrivere sotto dettatura da qualche mese.
Del resto l'opera di delegittimazione che ha portato alle dimissioni di ieri pomeriggio, parte da lontano. Alcuni la fanno iniziare dalla misteriosa vicenda dei russi, che un anno fa sbarcarono in città pronti a comprarsi una società, la Roma appunto, sull'orlo del fallimento, e dopo qualche settimana scapparono senza una spiegazione ufficiale. Sarebbe bello un giorno fare chiarezza su quello che accadde: si sa però che Baldini quell'operazione l'aveva molto caldeggiata e qualcuno glielo rimproverò.
Altri fanno risalire la prima crepa al famoso, o famigerato, pranzo in Campidoglio apparecchiato in estate dal sindaco per Rosella Sensi e il suo pari grado juventino Antonio Giraudo all'insaputa di Baldini. A rivederlo oggi, quell'incontro semiclandestino, sembra la prova generale per la svolta che poi la società farà in autunno.
Ma senza voler andare tanto lontano c'è una data certa a cui far risalire le prime vere difficoltà di Baldini con la Roma: il 31 agosto. A villa Pacelli è riunito come ogni mese il consiglio di amministrazione che deve approvare la situazione del bilancio della società come richiesto dalla Consob. Quel giorno è anche l'ultimo giorno di mercato e Baldini, sfumati per mancanza di soldi gli acquisti di Gilardino e Ibrahimovic, caldeggia l'arrivo dell'egiziano Mido, giovane di belle speranze. Costa sei milioni di euro: non tutti sono d'accordo, anzi, ma alla fine la linea Baldini passa e Mido arriva. Visti i risultati (e l'insperata resurrezione di Montella) per Baldini è un autogol, anche perché da Torino i nuovi amici bianconeri sussurrano che l'egiziano si poteva prendere anche in prestito gratuito, risparmiando i sei milioni.
Questo era il clima già all'inizio di quello che si rivelerà come l'ultimo campionato di Baldini alla Roma. Ma il direttore sportivo incassa e tira dritto anche perché la Roma va a pezzi: va via Prandelli e lui corre a far firmare Voeller; dopo un mese anche il tedesco fa le valigie, Baldini ha per la prima volta la tentazione di imitarlo ma invece sale su un aereo e incontra Delneri convincendolo a venire a Roma. Intanto la sua ultima campagna acquisti finisce nel mirino di critica e tifosi (solo oggi sappiamo che Mexes non era una bufala...).
Ma è sul fronte politico, sulla visione del calcio e sul ruolo della Roma, che si apre la crepa decisiva.
Il fatto è questo. E' una mattina di ottobre: all'Hilton di Fiumicino sono riuniti gli stati generali del calcio. A sorpresa spunta anche Franco Sensi, al suo fianco, come sempre, Franco Baldini. Di quel giorno passeranno alla storia due scene: nella prima Baldini cerca letteralmente di tirar via lo stanco presidente dall'abbraccio tentacolare di Luciano Moggi che ha appena finito di giurare che lui non ce l'ha mai avuta con la Roma; nella seconda Sensi annuncia che la guerra è finita anticipando a un nostro cronista che «la Roma voterà Galliani», quello che lui, solo qualche mese prima aveva pubblicamente mandato affanculo.
Per Baldini quella svolta non è una vera sorpresa: la temeva da qualche mese, da quando Mediaset, si dice per intercessione dello stesso Galliani, ha firmato un importante contratto per i diritti tv della Roma (così importante che solo grazie a quello la società ha potuto chiudere l'ultima relazione semestrale con un attivo di 14 milioni e rotti di euro).
Ma fino all'ultimo, fino a ieri sera, il diesse ha sperato di poter convincere il presidente e la figlia che questa strategia condanna la Roma ad essere per sempre vassalla della grandi. E' questo il punto vero su cui si è consumato il divorzio: per la famiglia Sensi oggi la Roma sta nel posto che le compete, fra i grandi club con Juve Milan Inter e Lazio; per Baldini invece, fino a quando le risorse saranno distribuite in maniera ingiusta, gli arbitri saranno condizionati dal potere e i giornalisti subiranno la sudditanza psicologica dei soliti noti, la Roma non vincerà mai più. Per questo Baldini si danna e passa l'autunno e l'inverno a tentare di convincere la Roma a riprendere in mano la spada del cambiamento. Per questo a fine ottobre fa una prima mossa forte: si dimette. Ma quel giorno il presidente in persona lo chiama e gli chiede di restare: alla fine ne esce un comunicato che assolve il calciomercato estivo e ridà piena fiducia al ds.
Ma quel clima dura poco: il tempo di vedere per l'ultima volta assieme in conferenza stampa Baldini con Rosella Sensi il giorno dell'annuncio del mega contratto con Sky e del rinnovo per Daniele De Rossi. «Grazie Franco» dice lei, «no, grazie all'amministratore delegato» fa lui. Ma la crisi è di nuovo dietro l'angolo e per Baldini la strada è tutta in salita. Delneri spera di sostituirlo con il suo amico del Chievo Sartori, alcuni big della squadra gli voltano le spalle, e Rosella giorno dopo
giorno gli preferisce Daniele Pradè, un dirigente diligente, obbediente e sempre più presente: nella riunioni di Lega come nelle occasioni con i tifosi e nei vertici strategici a villa Pacelli.
Baldini si rifà vivo il 5 gennaio, con una clamorosa intervista contro i padroni del calcio che gli costerà un deferimento, una multa di 2500 euro e l'eterna gratitudine di tanti romanisti per la boccata di ossigeno di quelle parole. Ma più i tifosi lo amano, più cala il gradimento per Rosella Sensi, ingiustamente considerata l'unica artefice della svolta.
Fatto sta che Baldini alla prima occasione, la presentazione di Abel Xavier, prende la parola e dice ai tifosi «non applaudite me ma osannate la famiglia Sensi, solo a loro dobbiamo questa grande Roma».
L'ultimo, inutile, tentativo di recuperare un rapporto logoro.
Baldini viene accantonato e pubblicamente scaricato: in occasione di Roma Juve, viste le timide reazioni dell'amministratore delegato e dell'allenatore al furto dell'Olimpico, avrebbe occasione di farsi sentire. Ma rinuncia per non far danni alla Roma.
La domenica seguente la Roma perde anche a Cagliari. Sull'aereo del ritorno, mentre Delneri sta dando le dimissioni, Rosella gli ordina di partire la mattina seguente per Zurigo per seguire una causa. Baldini ribatte che c'è un allenatore da scegliere. Inutile.
L'intervista tv alla Dandini di domenica sera sembra il suo addio al calcio: in realtà è l'ultimo tentativo di cambiare le cose a tre giorni dal voto per Galliani in Lega. E quando mercoledì mattina il "compromesso storico" sembra saltato per un attimo si illude «di essere servito a qualcosa».
Ma in cuor suo sa che è solo una questione di soldi e di poltrone.Alle 17, quando i presidenti di A e B votano Galliani e Zamparini, lui è già a Trigoria che mette le sue cose in un paio di scatoloni.
Ieri chiede di incontrare il presidente e la figlia: dopo un'ora abbondante di anticamera lo riceve solo Rosella.
Chi la conosce dice che tradisse un evidente fastidio. Baldini prova a parlare, vorrebbe vedere anche il presidente, capisce che è tutto inutile.
Consegna la lettera di dimissioni. Lei dice «ne prendo atto», lo ripete tre volte.
In fondo era solo un «consulente di mercato».
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